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Allo scadere dei primi due giorni di Fuorisalone mi figuravo già come un pesce rosso nella giostra perenne della sua boccia, finché non ho scoperto che lui, rispetto a noi umani, ha una soglia di attenzione più alta e non ulteriormente erodibile, perché la specie animale non è sottoposta al logorio della tecnologia multitasking (noi ce la siamo giocata così, che nella classifica precedente l’uomo veniva prima del pesce rosso).

Privata del senso di colpa per il blocco emozionale verso seggiole e vasi dopo gli otto secondi di interesse che la scienza ci riconosce, ho deciso di sperimentare percorsi alternativi e binari che diano senso e conoscenza a questo obbligatorio girovagare tra le installazioni del Fuorisalone.

Il primo percorso che mi sono data ha riguardato, sostanzialmente, la visita ai palazzi storici di Milano, che per l’occasione sono diventati location espositiva. L’esperimento ha avuto successo perché la collisione tra storia e futuro arredativo mi ha tenuta desta, e talvolta mi ha commosso.

Palazzo Turati, in via Meravigli, nasce come dimora di una famiglia di commercianti di cotone dell’Ottocento, facciata sobria e interni opulenti, e accoglie in questi giorni design danese ed un percorso di artisti ispirati dalle opere di Mondrian. Il cortile di palazzo Litta, seicentesca abitazione della famiglia Arese, è ricoperto da una tettoia i cui tubolari sono centinaia di paia di jeans. A palazzo Clerici, non ce ne vogliano i committenti dell’installazione, vi ritroverete completamente rapiti dalla galleria affrescata dal Tiepolo, e vi assicuro che batterete facilmente in classifica il pesce rosso di cui parlavamo, altro che nove secondi di attenzione.

Il palazzo che emoziona di piùFile_001(1) è in Corso Venezia, palazzo Bovara, settecentesca sede della ambasciata francese durante il periodo napoleonico. In questi giorni ospita l’allestimento di Elle Decor, in una sintesi osmotica perfettamente riuscita tra location ed intervento espositivo. Piace il percorso verde che porta nelle singole unità abitative racchiuse da leggerissime gabbie, ed il pensiero va a quando torni tra le mura di casa e fai pace col mondo. La stanza delle scelte, le cui pareti mutano al tocco del pattern che tocchi, la playtable coffee, un lungo tavolo dove il caffè viene servito sul sushi runner giapponese, mentre fai amicizia con il vicino di sedia. La parte più divertente sono i box interattive esperenziali in cui puoi giocare con la luce declinata in diverse situazioni: attenzione alla schiena, già provata dalle prestazioni da runner di questi giorni, i box sono chiusi su quattro lati e si può accedere solo da una fessura in basso del muro perimetrale.

Ci puoi tranquillamente trascorrere un paio d’ore, ti diverti capisci e ti emozioni, come me davanti alla camera da letto onirica, che mi ha fatto immediatamente rimpiangere la cuccia calda abbandonata di primo mattino per poter sbrigare il lavoro e fare presenza attiva a quella che sta diventando la vera festa del patrono della città, il design, che ha definitivamente scalzato Sant’ Ambrogio e gli oh bej oh bej. La prima della Scala al Fuorisalone sarebbe troppo?

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